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lunedì 3 giugno 2013

Alluvioni e terremoti: storie di ordinario disastro


L’alluvione di Genova si poteva evitare? Probabilmente le eccezionali condizioni atmosferiche che hanno portato a far cadere sulla città di Ligure, in tredici ore, più di 366 millimetri di pioggia pari al 20% del totale delle precipitazioni di un intero anno, sicuramente non erano prevedibili. Le conseguenze, almeno in parte, però, potevano essere evitate attraverso la prevenzione e con una corretta gestione del territorio e delle risorse idrauliche in esso presenti. Prima di Genova c’era stata l’alluvione in Piemonte del ’94, evento spartiacque nel modo di affrontare l’allarme idrogeologico in Italia. Per la prima volta dal dopoguerra, l’Italia, si era trovata di fronte alle conseguenze dell’insensata azione dell’uomo sulla natura, che intervenendo sugli argini e sui letti dei fiumi, modificando i corsi d’acqua a proprio uso e consumo, disboscando terreni e colline, costruendo in posti impensabili aveva indebolito fino all’estrema ratio il territorio. Un’azione sciagurata che si è poi gli si è rivoltata contro. Dopo il Piemonte, c’è stata la frana di Sarno nel ’98, quando un intero costone di montagna si è staccato travolgendo, in un fiume di fango e di detriti, tutto ciò che incontrava sul suo cammino. Se su quel versante di montagna ci fossero stati ancora gli alberi cancellati dal disboscamento selvaggio e se al loro posto non fossero stati costruiti palazzi su palazzi, forse tutto questo non sarebbe accaduto. C’è poi stata Messina nel 2009.


Dopo il Piemonte, dopo la Campania e la Sicilia, c’è stata la Liguria. Prove che gli errori passati non sono serviti da insegnamento per il futuro. Dopotutto, basta vedere come è 

stata gestita l’emergenza Sarno, dove in tredici anni è stato fatto poco o nulla per evitare che catastrofi del genere possano ripetersi. Eventi figli dell’imprevedibile, ma, anche e soprattutto conseguenza di una gestione sbagliata del territorio, di una scarsa considerazione delle aree ritenute a rischio idrogeologico e di una farraginosa macchina per la gestione dell’emergenza. Le alluvioni sono molto diverse rispetto ai terremoti. Questi ultimi, infatti sono impossibili da prevedere e il ruolo della prevenzione è marginale – seppur di fondamentale importanza – nella limitazione dei rischi. 

In questi casi l’uomo può solo intervenire con la costruzione di fabbricati antisismici e monitorando costantemente i movimenti del sottosuolo nella speranza di riuscire a cogliere in tempo i campanelli d’allarme. Esempio in questo genere di prevenzione è la Faglia di Sant’Andrea in California. Una faglia geologica di 1287 chilometri e lungo la quale si sono sviluppati devastanti terremoti. I geologi di tutto il mondo la studiano e la tengono sotto stretto monitoraggio consapevoli che nulla potranno fare per evitare il verificarsi del ‘Big One’, del grande terremoto del decimo grado della scala Richter che staccherà la California dal continente americano. Nella prevenzione dei disastri idrogeologici, invece, gli studi, le ricerche, le ricostruzioni storiche possono fare molto, indicando i luoghi, le zone, e addirittura i periodi dell’anno maggiormente a rischio idrogeologico. Forniscono importanti strumenti per limitare almeno in parte l’ineluttabilità degli eventi. Spesso lanciano campanelli d’allarme che, come nel caso di Genova, restano inascoltati con conseguenze drammatiche. Le alluvioni e le inondazioni, infatti, sono fenomeni che vengono innescati da condizioni metereologiche straordinarie, ma, che hanno nella inadeguata gestione e nella scarsa manutenzione del territorio le cause principali. In questi casi si può affermare con certezza che la prevenzione e il rispetto del territorio possono limitare o addirittura prevenire eventi devastanti.

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