Minimalismo. Sta tutto in questa parola il segreto del successo del ‘japan style’ nella moderna filosofia abitativa occidentale. Minimalista è la casa giapponese, che si adatta velocemente alle esigenze di chi la abita e ai ritmi frenetici imposti da una quotidianità sempre più convulsa. Minimalismo, ma anche, funzionalità e meditazione secondo la concezione orientale della casa quale rifugio e luogo di relax. Dalla casa giapponese gli architetti occidentali hanno rubato due idee fondamentali che riadattate sono diventate parte integrante delle case in occidente, ovvero, gli armadi inseriti nelle parti costruttive della casa contenenti arredi e suppellettili tali da trasformare, in ogni momento, ogni stanza della casa in una stanza dove poter dormire, e le pareti attrezzate, tokonoma e chigaidana. Due idee utilissime per risolvere in maniera funzionale i sempre più frequenti problemi di spazio delle case moderne.
In generale, comunque, la caratteristica fondamentale della casa giapponese – tendenzialmente molto più piccole di quelle europee o americane - sono la flessibilità e il rigore dei principi costruttivi e d’arredo.
Nella casa tradizionale l’intelaiatura è data da pali e travi di legno su cui si intersecano pareti molto leggere fatte con pannelli scorrevoli di carta di riso che consentono di areare e ventilare i locali. Non esistono vere e proprie stanze, ma gli spazi interni vengono delimitati da pannelli – shoji - e porte scorrevoli che permettono di trasformare gli ambienti in base alle esigenze della giornata. Non sono previste camere da letto, ma i materassi – foton – vengono srotolati la sera, distesi sul pavimento e al mattino vengono riposti negli appositi armadi a muro, trasformando lo spazio nuovamente in una ‘zona giorno’. Il materiale più utilizzato è il legno, mentre quelli più pesanti sono invece destinati ad edifici con destinazioni diverse da quelle abitative. La casa tradizionale giapponese è interamente riciclabile, poiché è realizzata con materiali quali legno, paglia e carta da riso. Un’impostazione minimalista dettata sia dalla necessità di far fronte ai frequenti terremoti, sia alla filosofia zen, in base alla quale tutto nella vita è effimero e transitorio. Spiritualità che si trova anche nella concezione del giardino, vero centro e fulcro della casa tradizionale giapponese. Tutta la casa è proiettata verso il giardino che solitamente viene preceduto dall’engawa, una sorta di veranda con tetto spiovente, coperta d’inverno e completamente aperta (grazie ai pannelli mobili) in estate.
Un altro elemento fondamentale per comprendere l’architettura giapponese è il tatami, ovvero le stuoie che coprono il pavimento e che hanno una misura standardizzata di 90x180 cm. Misure che nel 1400 furono indicate dagli architetti giapponesi come le dimensioni adeguate al riposo di una persona giapponese. Da allora le case giapponesi vengono realizzate seguendo il modulo del tatami come metro di misurazione. Di conseguenza una stanza piccola è costituita da 4 tatami, una media da sei e una grande da 8. Le porte scorrevoli di carta – fusuma – ad esempio sono alte 1,80 cm a riprova che la casa tradizionale giapponese è da considerarsi per dimensioni e proporzioni diretta derivazione del corpo umano.
Oltre al tatami e ai shoji altri elementi costitutivi della casa tradizionale giapponese sono: l’ “Irori” che è il cuore della casa, equivalente al focolare occidentale, usato per riscaldarsi e per cucinare. Il “Doma” è invece l’ingresso dove vengono lasciate le scarpe ed è costituito da porte scorrevoli in legno. Il “Tokonoma”è un’alcova esposta in una stanza cerimoniale con pavimento in legno. Sempre presente l’altare buddista domestico. C’è infine la “sala da tè”, una sorta di capanna in giardino dove si svolge la cerimonia del tè secondo una successione di riti rigidamente stabiliti.
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